Ci sono musicisti che fanno della coerenza e dell’onestà intellettuale un punto fermo della loro carriera, prendendo spunto dalle proprie radici musicali e portando avanti un percorso che merita di essere conosciuto appieno. Rees Shad è uno di questi: durante ben quattro decadi ha pubblicato diciassette dischi che hanno decretato l’apprezzamento dei colleghi e di una affezionata ‘fan base’ anche senza un successo commerciale di cui sarebbe stato assolutamente degno. Nato e cresciuto a New York è stato fortemente influenzato dalla passione per la musica dei suoi genitori che lo hanno spinto ad avvicinarsi al jazz, alla classica e alla musica proposta a Broadway ma la svolta si è verificata quando ha cominciato a frequentare i club del Village (dal Gerde’s Folk City al CBGB) costruendo un corposo bagaglio fatto di folk, di blues e di country music, avvicinandosi idealmente a quel profondo sud i cui echi arrivavano forti e chiari nella Grande Mela. La crescita interpretativa, quella compositiva e una visione ampia e senza preconcetti dei suoni roots la ritroviamo in questo suo nuovo disco intitolato “Porcelain Angel” in cui esprime in maniera incisiva e coinvolgente la sua visione artistica fotografando al meglio quello che di più interessante ha proposto la musica americana. Ad aprire l’album c’è la toccante “Ain’t That The Way”, ballata acustica che inizia con uno stile folk ma che si arricchisce di un crescendo vocale che la porta in territori gospel assolutamente trascinanti, seguita da “Magic Lantern Presentation” che entra ancora più nel profondo delle radici sudiste vicine a New Orleans e al suo inconfondibile mix di influenze rimarcando un approccio da parte di Rees Shad di grande presa e attrattiva. Con “Coda Blues” si entra nel blues più intenso e puro con l’armonica del grande RB Stone a segnare un’altra interpretazione da incorniciare e si continua in una felice alternanza di emozioni e di sensazioni, a volte più legate al linguaggio folk, a volte più vicine allo spirito del blues, sfumato spesso dal jazz e dal gospel. La pianistica “Isn’t It A Lovely Day” mostra l’eccellenza compositiva di Rees Shad in una melodia dai toni pop che ha la bellezza dei classici e la canzone che da il titolo all’album e “Your Last Straw” sono ballate acustiche vicine al cantautorato country più genuino con il protagonista alle prese con dobro e piano elettrico a dimostrazione di un poliedrico talento strumentale. Con “Thumbing The Scales” tornano le atmosfere blues ma in questo caso personalizzandole aggiungendo un incisivo spirito rock mentre “Pistol Whip Hangover” ci porta a Chicago con un potente blues fiatistico. Rilassate ed acustiche sono poi le due bonus tracks poste in chiusura, due riletture da ‘back porch’ come sono definite, due gioiellini che congedano un musicista con la m maiuscola. (Remo Ricaldone)