Pancho Villa fu il protagonista dell’ultima invasione subita dagli Stati Uniti nella loro storia. Il 9 marzo 1916, un secolo dopo le operazioni anfibie inglesi a New York e New Orleans della guerra anglo-americana, le truppe villiste, al grido di “Morte ai gringos!”, attraversarono il confine e assaltarono la città di Columbus, in Texas.
Villa nacque il 5 giugno 1878 al Rancho de Río Grande, vicino a San Juan del Río, nello stato di Durango. Il suo vero nome era Doroteo Arango Arámbula, ma se ne disfece quando ferì il proprietario terriero Agustín López Negrete, che aveva cercato di stuprare sua sorella Mariana, e dovette darsi al brigantaggio.
I suoi genitori, Agustín Arango e Micaela Arámbula, erano stati dei poveri contadini e non avevano potuto garantirgli istruzione e lavoro dignitoso. Sulle montagne, Villa si unì alla banda guidata da Ignacio Parra, finì in prigione e poi, tornato in libertà, si dedicò ancora al brigantaggio abbandonandolo solo quando i suoi compagni si resero protagonisti di intollerabili violenze verso altri contadini. Trovò lavoro nella miniera di El Verde a Hidalgo del Parral e dopo poco si mise a fare il commerciante a Chihuahua, ma scoperto dovette ritornare sulle montagne per sfuggire alla legge.
Il bandito finì più volte catturato, ma fu sempre rilasciato grazie agli sforzi di amici influenti, fino a quando abbracciò la causa rivoluzionaria di Francisco I. Madero. La sua audacia e il suo senso dell’organizzazione, uniti all’arguzia di strategie prese in prestito ai comanche, lo fecero emergere sugli altri capi che combattevano l’esercito federale e i proprietari terrieri.
Durante il cruciale assedio di Ciudad Juárez, Villa e Pascual Orozco, impazienti di aspettare le lente negoziazioni di pace, aprono il fuoco per costringere Madero ad ordinare la presa della città. Fu ciò che ottennero ma, dopo la vittoria, si trovarono il disaccordo con Madero, che liberò Navarro, il generale federale sconfitto. Villa era contrario ai trattati di Ciudad Juárez, era fortemente convinto che nulla sarebbe cambiato e che il profirismo sarebbe tornato. Manifestò al caudillo le sue perplessità che però rispose conferendogli il grado di colonnello. Ritornò allora alla vita civile come allevatore di bestiame e macellaio.
L’amico Orozco, invece, riprese le armi e Villa fu chiamato a contrastarlo proprio accanto ai generali federali in passato combattuti, nella Divisione Nord di Victoriano Huerta. Intollerante agli abusi dei federali, ben presto si mostrò ostile al generale e presentò domanda di dimissioni, ma Huerta rispose ordinandone la fucilazione per ribellione. L’intervento di altri comandanti evitò la pena, ma lo condannò al penitenziario di Città del Messico e poi di Santiago Tlatelolco. Villa pensò che Madero l’avrebbe liberato, ma il presidente non mosse un dito perché pressato dall’ambasciatore americano Henry Lane Wilson che voleva sottoporre Villa ad un consiglio di guerra per il saccheggio di una hacienda di proprietà inglese, situata a Tlahualillo. Il processo durò sette mesi e in carcere Villa conobbe ldardo Magaña, che gli insegnò a leggere, il generale Bernardo Reyes e l’impiegato della prigione Carlos Jáuregui che lo fece evadere.
Si rifugiò negli Stati Uniti fino al rovesciamento di Madero e al suo omicidio progettato da Victoriano Huerta nel 1913. Tornò allora in Messico e costituì un nuovo esercito di rivoluzionari, la Divisione del Nord, per combattere contro il governo di Huerta e in sostegno del costituzionalista Venustiano Carranza. Quando anche Carranza si rivelò lontano dalle aspettative riformiste dei contadini, Villa non tardò a rivolgere contro di lui le sue armi. Assunse il controllo dello stato di Chihuahua, dove pose fine al latifondo e distribuì la terra ai contadini, così come Zapata a Morelos. Si scontrò ripetutamente contro l’esercito costituzionalista guidato dal generale Alvaro Obregon che, invece, ebbe il sostegno del governo degli USA.
Gli statunitensi, con l’inganno, tramite un loro agente, il trafficante d’armi Sam Ravel, riuscirono a rifilare a Villa migliaia di munizioni inutilizzabili. Fu così che il rivoluzionario meditò una spettacolare vendetta.
Il 9 marzo 1916, millecinquecento guerriglieri villisti attaccarono la città di Columbus, in Texas. Li guidavano i fratelli Pablo e Martin Lopez, Candelario Cervantes, Nicolas Fernandez, Juan Pedroza e Francisco Beltran, mentre Villa era rimasto sul confine, vicino a Puerto Palomas, a quasi cinque chilometri di distanza, con una scorta.
Il presidio di seicento soldati americani fu assediato per sei ore. I villisti catturarono 80 cavalli, 30 muli e 300 fucili, la città fu bruciata, diciassette soldati morirono, settantasette civili furono uccisi e altri dieci giustiziati. In risposta, il presidente americano organizzò allora una spedizione militare punitiva, affidata al generale John “Black Jack” Pershing e al suo braccio destro George Patton, e offrì una ricompensa di 5.000 dollari a chi gli avesse consegnato Villa.
Diecimila soldati americani perlustrarono i deserti di Chihuahua per undici mesi dando la caccia a quello che sembrava essere un fantasma. Intanto la rivoluzione andava avanti, Carranza si rifugiava a Veracruz e, con Emiliano Zapata, Villa entrò in Città del Messico. Fu il punto più alto della rivoluzione contadina.
Le truppe statunitensi, armate fino ai denti, si servirono anche degli strumenti militari più moderni del tempo come camion, motociclette e carri armati. Fu usato persino un aereo pilotato da Pershing. Tutto però fu vano: il tentativo di catturare Pancho Villa e i suoi uomini non ebbe successo e alla fine di gennaio dell’anno seguente, a mani vuote, gli statunitensi abbandonarono il Messico.
La spedizione fu un disastro militare e politico per gli Stati Uniti, causò la reazione ostile dei campesinos, indebolì il governo di Carranza e fomentò il mito di Villa, presto protagonista di film e romanzi.
Le azioni del rivoluzionario sarebbero finite nel 1920. Depose le armi dopo l’omicidio di Venustiano Carranza e l’ascesa alla presidenza di Alvaro Obregon. Si ritirò nella tenuta di Canutillo, che gli fu assegnata in virtù dei suoi servizi alla rivoluzione. Tre anni dopo sarebbe stato assassinato nella città di Parral, nello stato di Chihuahua, proprio dove si sentiva più sicuro, per ordine di Obregon stesso che temeva lo scoppio di un’altra rivolta da lui capeggiata. (Angelo D’Ambra)