Quando Iris DeMent aveva solo tre anni, suo padre Pat, operaio alla Emerson Electric, organizzò uno sciopero selvaggio, ovvero una prolungata interruzione dal lavoro senza il consenso dei sindacati. Le cose si misero male e i DeMent dovettero cercare fortuna lontano dal loro Arkansas e così finirono a Buena Park, in California, e poi a Sacramento dove Pat prese a lavorare come giardiniere. Sua moglie Flora Mae era un’ottima cantante e pianista che a lungo aveva coltivato il sogno di intraprendere una carriera musicale a Nashville. La sera si sedeva al pianoforte e cantava per Iris e gli altri suoi tredici figli i brani dal libro degli inni pentecostali. Pat allora prendeva il violino e si univa a lei. Così anche le loro figlie iniziarono a dedicarsi al canto e nacquero le DeMent Sisters. Iris si esibì con loro la prima volta a cinque anni, e dimenticò le parole. Quel simpatico incidente non divertì il pubblico e forse raffreddò il rapporto di DeMent con la musica, almeno fino a quando, ormai ventenne, per far soldi, dopo i turni da cameriera a Topeka, nel Kansas, prese a cantare nei night club. Maturò qualcosa in lei e si iscrisse ad un corso di scrittura creativa del Washburn College. Dopo qualche mese nacque “Our Town” e lei capì ciò che voleva: divenire una cantautrice. Si trasferì a Nashville e firmò per la Rounder registrando il suo primo album.
“Our Town”, il pezzo di punta, raccontava la storia di una donna che vede la sua piccola cittadina scivolare nel passato, morire nei ricordi, spopolarsi e spegnersi, accerchiata dal freddo della modernità. Quest’istantanea di colori arrugginiti, righe scarne e parole malinconiche raccontava di un mondo che stava sparendo. Era una delicata poesia country che descriveva la realtà di centinaia di piccoli e poveri centri rurali superati dal trambusto del veloce progresso dell’America. Chi l’ascoltò nell’album d’esordio “Infamous Angel” del 1992, restò ammaliato dall’interpretazione di Iris con la sua voce vibrante e calda, contraddistinta da venature tenui e tristi, nostalgica senza mai essere troppo greve, forse eterea, incredibilmente genuina. Il brano sarebbe stato inciso da decine di artisti, nomi come Kate Rusby e Kate Brislin, da Iris pure in duetto con Emmylou Harris.
La musica country e folk fu scossa da una voce fresca piena di emozioni e l’album successivo “My Life”, confermò le sensazioni con canzoni introspettive e commoventi. Davanti alla bambina timida che dimenticava le parole degli inni, si spianò una strada inimmaginabile, fatta di spettacolari album country, di brani amari che non cedono però mai alla disperazione, di versi cantati con l’anima, di sensazioni che sembrano provenire dal secolo scorso.
Intraprese collaborazioni con grandi artisti come John Prine e Steve Earle. Nel 2010, la sua voce apparve nella soundtrack del remake “Il Grinta” dei fratelli Coen con “Leaning On The Everlasting Arms”. Anche in quel dimenticato brano scritto da Anthony Johnson Showalter & Elisha A. Hoffman ed estratto da “Lifeline”, si incontra il caratteristico stile dell’artista che si modula tra potenza e fragilità straziante. Si è potuto apprezzarlo l’ultima volta con “The Trackless Woods”, il suo più recente album, risalente ormai al 2015, ispirato alla poetessa russa del XX secolo Anna Achmatova. Da allora il silenzio perché Iris ha sempre difeso la sua vita privata dai grandi riflettori, forse rinunciando ad un po’ di ambizione che le avrebbe portato sicuramente maggiori riconoscimenti, tuttavia proprio questa riservatezza le ha garantito autonomia creativa e apprezzamenti del pubblico. Merle Haggard la definì “la migliore cantante che abbia mai sentito” e forse aveva ragione. ( Angelo D’Ambra)