I genitori di John Prine provenivano dalla contea di Muhlenberg, nel Kentucky, ma il ragazzo crebbe a Maywood, nell’Illinois, frequentando la Old Town School of Folk Music di Chicago a partire dall’età di 14 anni. Dopo un’esperienza nell’esercito e un lavoro da postino, divenne musicista e cantautore a tempo pieno. Tutto partì da quella volta in cui, incoraggiato dagli amici, salì sul palco del pub “The Fifth Peg” e cantò la sua “Sam Stone”, storia di un veterano del Vietnam che muore per overdose di droga. Il pubblico restò di stucco e il locale ingaggiò Prine come suo artista. Nell’ottobre del 1970, il critico cinematografico Roger Ebert, finito nel pub a bere una birra, sentì suonare Prine e, esterefatto dal suo talento, scrisse un pezzo su di lui per il Chicago Sun-Times. Ben presto, John Prine divenne uno dei nomi più gettonati della scena musicale folk di Chicago. Riuscì inoltre a stabilire una sincera amicizia con proficui risvolti musicali con i cantautori Steve Goodman e Kris Kristofferson. Con loro Prine suonò al The Bitter End di New York, una sera del 1971. A sentirlo c’era Jerry Wexler della Atlantic Records, che il giorno dopo lo fece firmare per la sua etichetta.

Le emozioni suscitate da branico me “Angel From Montgomery”, “Clay Pigeons” e “Illegal Smile”, hanno scosso generazioni di ascoltatori. Qualcuno avrebbe saputo denunciare i guai del capitalismo con più sensibilità dei versi di “Paradise”? Qualcuno avrebbe osato scrivere entro lo schema più conformista e scialbo della musica americana, quello delle canzoni natalizie, dando voce ad un carcerato come fece lui in “Christmas in Prison”? Dall’uscita del suo album di debutto omonimo nel 1971, John Prine ha stupito sia i fan che i critici con la sua capacità di mettere il mondo in una canzone. L’abilità di Prine nel ritrarre poeticamente gli aspetti più veri della vita è stata lodata da Bob Dylan e Jason Isbell, Leonard Cohen e Joni Mitchell, riconosciuta da istituzioni come l’Americana Music Association, la Nashville Songwriters Hall of Fame, la Songwriters Hall of Fame e la Rock and Roll Hall of Fame. Ha scritto con immensa umanità di lavoratori, di gente vinta, di anziani, di fatti crudi, di persone smarrite, con semplicità ingannevole, a volte con ironia. Per quasi cinquant’anni e attraverso due dozzine di album, Prine ha dimostrato più volte di essere uno dei migliori bardi degli States.

Scrittore impareggiabile, voce unica, abbandonò la Atlantic dopo quattro album e passò alla Asylum, poi, in astio con le major, fondò la sua Oh Boy Records e pubblicò Aimless Love (1984), German Afternoons (1986) e The Missing Years (1991). Dopo Lost Dogs e Mixed Blessings (1995). Con gli anni il suo viso divenne più vecchio, la pelle corrugata, la voce rauca, ma la sua poesia non sfiorì. Dovette combattere un cancro al collo prima di ritornare sui palchi e in una sala di incisione. Bob Dylan commentò il suo operato con un grande encomio: “La roba di Prine è puro esistenzialismo proustiano. Viaggi mentali del Midwest all’ennesima potenza”. Roger Waters l’ha posto sullo stesso piano di Neil Young e Lennon.

L’ultima canzone di John Prine fu “I Remember Everything”, in collaborazione con Pat McLaughlin. Dave Cobb ha prodotto la traccia, registrandola nel soggiorno di Prine con il cantante che si accompagnava alla chitarra. Evocò tutte le emozioni della sua vita con parole dolci e stanche: “Ricordo tutto. Cose che non posso dimenticare, il modo in cui ti sei voltata e mi hai sorriso, la notte in cui ci siamo incontrati per la prima volta”. Fu questo l’ultimo regalo che ci ha lasciato. ( Angelo D’Ambra)