Intervista a Luca Chiappara, in partenza verso Nashville. Classe 1992,Luca nasce e cresce in Alto Adige dove a 9 anni inizia a suonare il basso elettrico. Finiti gli studi si trasferisce in Sicilia dove nel 2014 viene chiamato da Don Diego Geraci (leader della storica neo-rockabilly band siciliana Adels) a far parte del suo nuovo progetto solista, il Don Diego Trio. La band è un mix esplosivo di musica country americana, rock’n’roll anni 50 e swing. L’incredibile talento di Diego e una serrata sezione ritmica fruttano alla formazione una media di 120 date l’anno in 12 nazioni tra Europa e Stati Uniti, più di 15 festival internazionali, 7 dischi all’attivo e 3 nomination come Best Rockabilly Group agli Ameripolitan Music Awards di Austin, Texas (2016, 2017, 2018) . Parallelamente all’attività live del Trio, ha sempre coltivato la passione per altri generi affini, suonando con altre formazioni, specializzandosi in quella che viene definita Roots music americana: Jazz tradizionale, Blues, Folk e Country. Questa preparazione specifica e settoriale gli ha permesso di essere uno dei contrabbassisti Roots più richiesti in Europa, e di essere chiamato a lavorare con artisti americani di caratura internazionale. Tra questi Slim Jim Phantom (batterista degli Stray Cats), Bill Kirchen, Dale Watson, Chris Casello, Deke Dickerson, James Intveld, per citarne alcuni. È proprio in seguito ad un folgorante tour europeo con quest’ultimo (poliedrico artista californiano) che Luca ha deciso di trasferirsi a Nashville, dove cercherà di approfondire la conoscenza della country music.
- Un musicista cresciuto con il sound del profondo sud degli States ( Country soprattutto, ma anche rockabilly, blues e folk) che decide di trasferirsi a Nashville, la città della musica, credo sia come una specie di sogno che diventa realtà. Come vivi questo periodo?
Vivo sentimenti contrastanti. Da un lato lo stress della partenza, delle pratiche burocratiche da gestire, la malinconia delle persone che lascio qua. Ma dall’altro la componente dell’entusiasmo e della curiosità pesa molto di più sul bilancio complessivo. Sia chiaro, non sto partendo con aspettative altissime, non vorrei rimanere deluso. Ciò nonostante ho una voglia incredibile di mettermi su quell’aereo e vedere come andrà a finire! E ho una voglia sfrenata di ritrovarmi in quel contesto, che sia suonando o andando ai concerti, ho voglia di stimoli nuovi. Nel frattempo mi sto preparando il più possibile sui classici del country, in modo da tenere a bada la mia impazienza. L’obiettivo è quello di farmi trovare il più preparato possibile, anche se le leggi di Murphy ti aspettano sempre al varco: puoi prepararti quanto vuoi, ma ti verrà sempre chiesto quello che non sai o non ricordi! Ma ho messo in conto anche qualche bella figuraccia educativa. Sono pronto a tutto.
- Un musicista Italiano, seppure molto bravo, che va proprio a Nashville a cercare una affermazione dal punto di vista professionale, mi sembra davvero una grande sfida. A “Music City” infatti, la concorrenza da parte di altri colleghi sarà ovviamente più agguerrita e spietata che in qualunque altra città. Che cosa ti spaventa di più e che cosa invece ti stimola di più?
Si, è esattamente questo il punto. Un amico (Mario Monterosso) mi aveva proposto di andare da lui a Memphis, tramite lui sarebbe stato molto più facile inserirmi in quella scena. Ma dopo aver seriamente messo in conto la proposta, mi sono convinto che stavo scegliendo la via più facile in un percorso che comunque sarebbe stato difficile. A questo punto tanto vale giocarsi il tutto e per tutto. Sono sempre molto estremo nelle mie scelte e lo sarò anche questa volta. Per questo Nashville, nonostante abbia poche conoscenze, nonostante la concorrenza sia spietata e nonostante vada ad essere uno su un milione. Ma di necessità virtù, questa cosa che mi spaventa voglio che sia lo stimolo a migliorare quanto più velocemente possibile.
- Hai suonato con artisti internazionali di grandissima caratura, ma se ti dicessero: da domani puoi scegliere con chi suonare. Con chi (e perché) vorresti andare in tour?
Mi piacerebbe rifare un’altra esperienza con James Intveld, chissà che non riaccada in futuro. Bastano dieci minuti di live con lui per imparare nozioni per cui non basterebbero anni di scuola di musica. Pretende molto, ha una capacità di leggere i tuoi limiti e contestualmente sottoporti la strada per superarli. È davvero una gran scuola.
Ho anche il sogno nel cassetto dei Mavericks e di Dave Alvin. I Mavericks per il sound compatto, le molteplici influenze e la gestione dello show. La loro attenzione ai dettagli è mostruosa, e in fondo è quello che voglio imparare stando negli Stati Uniti. Dave Alvin lo adoro come cantante, songwriter e ha una voce baritonale toccante. Mi piacerebbe suonare con lui soprattutto per poter stare sul suo stesso palco e ascoltarlo ad ogni concerto. - Il tuo modo di suonare il contrabbasso crea un sound davvero incredibile. Chi sono stati i musicisti che più ti hanno influenzato e che hanno contribuito a creare il tuo stile?
Di contemporanei sicuramente Kevin Smith e Beau Sample. Il primo è stato il bassista degli High Noon, una delle mie rockabilly band preferite. Attualmente suona con Willie Nelson, ma ha suonato anche con Dwight Yoakam e Heybale, per citarne alcuni. Il secondo suona attualmente con i Modern Sounds di Joel Paterson e con i Fat Babies, formazione di jazz tradizionale. Ma arriva anche lui dal rockabilly e dall’honky tonk. Insomma mi piacciono entrambi per l’estrema eleganza, per il suono e per la profonda conoscenza del linguaggio di ogni genere che suonano. Se vedi Kevin o Beau fare honky tonk sembra abbiano sempre fatto quello, idem col rockabilly, con il ragtime o con il jazz tradizionale.
Oltretutto sono particolarmente grato a Beau perché durante una lezione da lui a Chicago mi ha sottoposto il nome di Bob Moore, a me sconosciuto all’epoca. Ho scoperto poi che qualunque canzone country mi piacesse aveva al contrabbasso proprio lui! Bob Moore per intenderci era nell’A-Team di Nashville e ha registrato in più di 17000 brani registrati negli anni ’50 e ’60. Insomma, se ti piace Patsy Cline, Ray Price, Elvis o George Jones, l’hai sicuramente ascoltato senza magari sapere che fosse lui. (Gianluca Sitta)