I veicoli hanno sempre fornito grande ispirazioni alla country music, trattori, camion, pickup, ma soprattutto le auto. Veloci o malconce, nuove o vecchie, a volte sexy come la bruna che siede nella corvette di George Jones (The One I Loved Back Then), a volte simbolo di ribellione come le cadillac di Dwight Yoakam (“Guitars, Cadillacs”).
La ragione dell’enorme presenza di testi dedicati alle quattro ruote è dovuta alla storia socio-economica americana. L’auto facilitava lo spostamento, quindi il commercio e il consumo, l’interazione tra mondo agricolo e centri urbani, soprattutto permetteva ai ragazzi indipendenza e avventure come in “I Got A Car” di George Strait.
Che si trattasse di una hot-rod Ford (Hank Williams, “Hey Good Lookin'”), di una Cadillac Model A (Bob Wills, “Cadillac In Model A”) o di una Chevy (Alan Jackson, “Chattahoochee”) , le auto furono cantate come veicolo di evasione dalla routine lavorativa, portavano le coppiette fuori dalla città, nelle sale da ballo, in luoghi di intimità, oppure permettevano ai ragazzi di lasciare i piccoli centri ed inseguire le loro illusioni, come la Pontiac di Don Williams (“Tulsa Time”).
Un dato storico importante è che, quando le radio iniziarono ad essere installate nelle automobili, nel corso degli Anni Trenta del Novecento, le trasmissioni radiofoniche western swing-country vivevano un periodo di splendore, dunque lo sviluppo della musica country, e l’evoluzione del concetto di “fare radio”, si intrecciarono alla massificazione delle vetture.
Da quello che potrebbe essere un elenco davvero inesauribile di brani country legati alle auto, sicuramente dobbiamo ricordare “Lord Mr Ford” di Jerry Reed. Scritta da Dick Feller, si piazzò al primo posto nella classifica Billboard Hot Country Singles del 1973, restandoci un’intera settimana. Era una satira sull’influenza sociale, culturale ed economica che l’automobile aveva avuto sul popolo americano. Quella scatola di metallo, una comoda “carrozza senza cavalli” che doveva portare felicità ed aiutare la gente nella propria quotidianità, aveva distrutto il classico modo di vivere, si era trasformata in causa di indebitamento, inquinamento, stress e frenesia, oltre che in un ulteriore simbolo di appartenenza di classe. Il ritornello era laconicamente rivolto al defunto Henry Ford: “Signore, signor Ford, vorrei solo che tu potessi vedere cosa è diventata la tua semplice carrozza senza cavalli”.
Né possiamo dimenticare “One Piece At A Time”, l’ultima istrionica canzone di Cash a raggiungere la vetta nella classifica Billboard Hot Country Singles. Era il 1976. Il pezzo stravolgeva l’etica del lavoro e parlava apertamente di qualcosa di diffuso nella società americana, ma sino ad allora taciuto. Descriveva, cioè, il furto silenzioso compiuto delle manovalanze nelle fabbriche, e non solo quello di risorse, ma anche quello del tempo, usando l’impiego retribuito per fare altre cose. La canzone infrangeva i codici morali, aveva una carica dissacrante esplosiva. Il testo, scritto da Wayne Kemp, raccontava la storia di un ragazzo del Kentucky, finito a lavorare in una fabbrica di automobili di Detroit che, desideroso di possedere una Cadillac, se ne costruisce una rubando un pezzo alla volta dalla catena di montaggio e portando fuori i componenti nel suo cesto del pranzo. Alla fine, però, l’assemblaggio si rivela un disastro perché i vari componenti appartengono a modelli diversi succedutisi nell’arco di venticinque anni e, sebbene l’auto funzioni, è il risultato di parti di diverso colore che non collimano neppure, suscitando l’ilarità della gente.
I testi country colgono perfettamente quanto il rapporto dell’uomo con l’auto sia sfociato in un discorso di immagine pubblica e nell’identificazione di uno status sociale sino ad assumere i tratti di una nevrosi, a farsi quasi dipendenza, ma questo discorso non esclude anche una certa carica di significato erotico. Willie Nelson, per esempio, riprese un brano di Frank Beard, Dusty Hill e Billy F Gibbons, i celebri ZZ Top, addolcendolo con sonorità swing e la sua voce sconsolata. E’ “She loves my automobile”, pezzo che, al netto di allusioni sessuali, racconta di una ragazza che sta con un ragazzo solo per via della sua bella macchina.
Arriviamo ai giorni nostri citando “Drivin’ All Night” di Jake Owen, poi riproposta anche da Michael Ray. Una ballata romantica, dal ritornello cantabile, dedicata ad un amore distante che spinge a salire in auto e macinare chilometri su chilometri. Guidare tutta la notte una chevy solo per un giorno, un abbraccio, un bacio, ripartire e poi tornare. ( Angelo D’Ambra)