Negli ultimi anni si era ormai praticamente ritirato dalle scene e da parecchio, con la sua chioma e barba bianca, rappresentava bene quel rassicurante personaggio la cui country music dal sapore fortemente pop faceva ancora breccia nei cuori di un pubblico maturo e nostalgico di una stagione in cui Nashville era il simbolo di un suono tutto sommato ordinario e ‘politically correct’, pur nella sua estrema perfezione professionale. Kenny Rogers, scomparso per cause naturali il 20 marzo 2020, in passato aveva anche saputo distinguersi per canzoni meno ‘usuali’ a livello tematico, certamente più trasgressive rispetto alla media degli argomenti trattati dalle canzoni country che passavano nelle radio, quasi tutti riguardanti famiglie tradizionali e buoni sentimenti. Nel 1969 per esempio portò al successo un brano di Mel Tillis, “Ruby (Don’t Take Your Love To Town”, che parlava di un veterano di guerra disabile la cui moglie regolarmente andava a cercare avventure extra-coniugali e alla quale chiedeva almeno di farlo una volta lui fosse ‘passato a miglior vita’. Certamente un tema ‘scomodo’ ma che gli valse uno degli hits della prima parte della carriera, pregevole soprattutto nel periodo in cui fu supportato dalla sua band The First Edition. Lo spostamento progressivo verso ambiti decisamente pop, i duetti con Dottie West e Dolly Parton soprattutto ma anche con Kim Carnes e Sheena Easton, hits come “The Gambler”, “Daytime Friends”, “Coward Of The County” e altri hanno reso il musicista di Houston, Texas famosissimo, almeno per la seconda parte degli anni settanta e per tutta la decade successiva, imponendolo come entertainer carismatico e serio. L’inevitabile ‘curva discendente’ in fatto di vendite delle ultime decadi non gli ha impedito di rimanere legato all’immaginario ‘countrypolitan’ in tutte le sue apparizioni successive, spesso legate ad iniziative umanitarie come ad esempio il progetto ‘USA For Africa’ in compagnia di Bruce Springsteen, Diana Ross, Harry Belafonte, Lionel Richie (la cui “Lady” fu un buon successo anche nella versione di Kenny Rogers), Stevie Wonder e molti altri. Qualche fugace apparizione nelle classifiche di vendita, l’investimento di risorse al di fuori dell’ambito musicale come l’apertura della catena di ristoranti ‘Roasters’ e altre iniziative volte a diversificare interessi ed entrate hanno segnato gli ultimi anni di una carriera quantitativamente corposa che ha lasciato comunque tracce importanti nella storia di un genere come la country music che Kenny Rogers ha raccontato nel suo lato certamente meno ‘rivoluzionario’. (Remo Ricaldone)