Sette dischi all’attivo e un’attività concertistica che nelle passate due decadi lo ha portato infaticabilmente tra Stati Uniti ed Europa (e anche, brevemente, in Italia): per un musicista (e scrittore: ha pubblicato racconti di viaggio e poesie tra le altre cose) e quindi anche per il cantautore texano Keegan McInroe, il nefasto periodo della pandemia ha portato paure, insicurezze e traumi e nel suo caso un’inaspettata ‘reclusione’ a casa della madre nella piccola cittadina di Dublin, non distante da Waco, Texas. Qui ha potuto e dovuto rivedere la sua carriera legando ancora più in maniera viscerale il suo amore per la canzone d’autore di grandi come Guy Clark, Kris Kristofferson e John Prine e proprio la morte di quest’ultimo, il 7 aprile 2020, ha toccato in maniera profonda l’animo di Keegan McInroe. “Dusty Passports & Empty Beds” è divenuto quindi un insieme di canzoni dalla grande intensità, vissute con il cuore in mano e con tutta l’emozione e l’ispirazione nei confronti del suo mentore numero uno. La vena compositiva di Keegan McInroe ne ha comunque giovato e ci troviamo tra le mani un ottimo album dove country music e folk si incontrano nella maniera più naturale possibile, la narrazione scorre in maniera efficace e la produzione a quattro mani dello stesso Keegan McInroe e di Grant Wilborn, che ha anche curato tutta la parte tecnica, ha portato a una completa maturazione anche interpretativa grazie ad una serie di eccellenti quanto poco noti da noi sidemen della scena di Fort Worth. “Big Year” è sintomatico e decisamente godibile come ‘intro’ con una melodia che si presta ad essere un momento corale nei suoi concerti, gustosamente in bilico tra country music e canzone d’autore. A seguire c’è una selezione di qualità in cui spicca un’unica ma bellissima cover, “Lonesome Friends Of Science” a firma John Prine, consegnata con inequivocabile intensità a commozione e brani dove lo spirito del compianto cantautore di Maywood, Illinois è spesso presente, come in “John’s Songs”, toccante e coinvolgente. Nelle pieghe di un racconto sempre autentico possiamo senz’altro citare la title-track “Dusty Passports And Empty Beds”, sinuosa e intrisa di umori sudisti, con l’armonica di Gary Grammer ad incidere in maniera notevole come in tutti gli inserimenti nel corso del disco, “Ey Brother”, pura folk song che si arricchisce strumentalmente a mano a mano che procede, “Only To Be Songs” che evoca la grande tradizione ‘outlaw’ texana e “Traveler’s Wind”, struggente congedo per un album che merita davvero. (Remo Ricaldone)